I Poeti Intuitisti - Les Poètes Intuitistes

I Canti tumultuosi del verbo

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Il verbo di Jean-François Blavin è un meraviglioso viaggio di parola, una passeggiata per spazi urbani via la parola. Ecco, in questi versi rivedo il Verlaine dei caffè parigini, in cui egli inventa il suo verbo poetico davanti a un bicchierino di assenzio. (G. Dotoli)

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    Il verbo di Jean-François Blavin è un meraviglioso viaggio di parola, una passeggiata per spazi urbani via la parola. Ogni luogo della città, soprattutto i caffè, le stazioni e il metrò, sono un invito a passeggiare con il poeta, per guardare insieme gli spazi tutt’intorno, deambulare nella realtà e nella fantasia. Il poeta ci invita ad andare, a osservare, a meditare. È un flâneur alla Guillaume Apollinaire o alla Blaise Cendrars, o forse meglio alla Paul Verlaine. Ecco, in questi versi rivedo il Verlaine dei caffè parigini, in cui egli inventa il suo verbo poetico davanti a un bicchierino di assenzio. E la poesia ritrova se stessa, cioè il contatto con il reale. Come suggerisce Goethe, non c’è poesia senza visione-ispirazione di quanto ci circonda. Così Blavin, con una scrittura cinematografica vieux temps, osserva, commenta, tutto rende lirico, va al fondo delle piccole e grandi cose, facendoci scoprire il film di tante storie, di oggetti dimenticati, di persone che vivono a margine della vita cosiddetta normale. Così tutti invita con lui, a bordo della sua barca ideale: «Voulez-vous venir avec le poète?». E il lettore non può rifiutare un invito così accattivante.
    (Giovanni Dotoli)

    Altezza21
    Larghezza15
    AutoreBlavin, Jean-François
    CuratoreMARIO SELVAGGIO
    Pagine170
    PrefazioneSYLVIE BIRIOUK
    Collana I POETI INTUITISTI - LES POÈTES INTUITISTES
    TraduttoreMARIO SELVAGGIO
    PostfazioneGIOVANNI DOTOLI

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I Canti tumultuosi del verbo

I Canti tumultuosi del verbo

Il verbo di Jean-François Blavin è un meraviglioso viaggio di parola, una passeggiata per spazi urbani via la parola. Ecco, in questi versi rivedo il Verlaine dei caffè parigini, in cui egli inventa il suo verbo poetico davanti a un bicchierino di assenzio. (G. Dotoli)